mercoledì 28 novembre 2007

Mario Fresa

Tre poesie inedite

Lo sguardo si diluisce adesso nelle palpebre sospese
oltre i rumori oscuri, nell’abbraccio
del vento ricaduto
nelle bocche dei cespugli:

qui si ascoltano tremare le variabili dita dei canneti
nei favolosi ingressi dell’udito

«Ma come sganciarsi da questa larga trama
cucita a moscacieca,
come uscire dalle crepe sfavillanti di sale,
scavalcare le mura della notte?»

*

Il movente di scrivere: cingere le palpebre
in un vero accecamento. Polvere e sdegno.
Rompevi, dissennato, le tracce rimaste
della camicia aperta.
Così strappavi come biglietti i fiori curvi
ma in un celeste
sorriso tu m’invitavi.

*

Il freddo scivola spezzando la tua luce risplendente
fra le porte della casa
e il tremolare
della ferita dolce poi riluce sulle mani,
sopra i lampi della neve che misurano
i tuoi passi: ci siamo riparati nei mantelli
come in docili gusci respiranti;
e proprio qui si riconosce
l’implorante luce notturna
che chiama per amore e prova nuove voci
per abbracciare il fuoco
del sudario, l’alto sospiro della memoria;
e ancora è viva questa mano che germina sottile
e che richiede un morbido risveglio,

una bendata resistenza.


Nota bio-bibliografica

Mario Fresa è nato nel 1973. Ha pubblicato due raccolte poetiche: Liaison (prefazione di Maurizio Cucchi, 2002, Premio Giuseppe Giusti Opera Prima) e L’uomo che sogna (2004, Premio Capoverso Città di Bisignano per l’inedito). Sue poesie sono uscite su «Paragone», «Gradiva», «Semicerchio», «La clessidra», «Il Monte Analogo», «Le Voci della luna», «Caffè Michelangiolo», «Specchio della Stampa», «Capoverso», «Erba d’Arno», «L’area di Broca», «Il Banco di Lettura», «L’Ortica», «Secondo Tempo» e «Vico Acitillo 124». Collabora come critico alle riviste «Caffè Michelangiolo», «Gradiva», «La Mosca di Milano», «Palazzo Sanvitale», «InOltre», «Capoverso». È presente in varie antologie, tra cui Nuovissima poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi (Mondadori, 2004).


Poetica

La poesia è sempre, indubbiamente, intestimoniabile; dunque irriferibile, non mai riconducibile al limite di un esterno insegnamento. L’unica via per accogliere il dono dell’apparizione poetica dovrebbe esssere: concentrare l’attenzione (la “tecnica”, la volontà) e poi essere scoperti da una mancanza; cadere nell’interdizione di un difetto e lì tacere; e lì ascoltare. Bisogna lottare contro il proprio disperato confine: ed è allora che le parole assumono «a volte un contegno più che irrispettoso» (Amelia Rosselli). Che significa ciò? Vuol dire stabilire l’incontrastata felicità di un preciso itinerario e cancellarlo, per amore del disinteresse; per amore dell’amore. Se si volesse davvero vivere la scrittura poetica bisognerebbe, insomma, parlare al buio; riformulare il senso della falsa “utilità” della parola e sganciare ogni frase ogni verso ogni suono dalla volgare prospettiva privata, liberando la poesia del peso consolatorio-ricompositivo dei molti poeti-diaristi che siamo abituati a leggere: poiché essi, quasi sempre, sono sùbito pronti a confondere la loro personale visione con una urgente e universale necessità; ma è l’io piccino, sciagurato, che parla in loro: e parla volendo esserci, sempre; volendo far rumore col proprio peso. L’attenzione “mancata” di un poeta, invece, chiede l’opposto: vuole l’immensa ferita di una luce che si spegne d’improvviso; desidera, insomma, far tremare l’orizzontale sicurezza del percorso e sbriciolare ogni egoistico e vanitoso sentimento, mostrando l’accadere di un comune sentire, un vero stordimento che dà gioia e sconcerto a chi, per ventura, provi, insieme con lui, la medesima esperienza.


‘Afinidades’

Maurizio Cucchi
Tiziano Salari


Menzionato da

Maurizio Cucchi
Antonio Riccardi